Qualche anno fa, una domenica mattina come tante, il libraio Raimondo Di Maio si aggirava tra le bancarelle nel mercatino dell’ippodromo di Agnano. Notò un vecchietto, mai visto prima, con ai piedi una cassetta di legno, di quelle usate per la frutta, piena di vecchi volumi. Si avvicinò e iniziò a prenderne in mano qualcuno. All’improvviso affiorò un libretto in sedicesimo, copertina muta di colore rosa. Sfogliate le prime pagine, la scoperta. Erano i Canti di Giacomo Leopardi, edizione Starita del 1835. «Non ci potevo credere. Pensai che si trattasse di una riproduzione, ma la carta era antica e c’erano non una, ma due “Errata corrige”, la prova che si trattava proprio della rarissima e ricercata seconda edizione napoletana... Il venditore mi chiese due euro, gliene diedi cinquanta. In libreria lo collazionai, lo schedai, prezzo indicativo di vendita: tremila euro».
È uno dei colpi di fortuna, o se vogliamo della sorte che tocca a chi ha naso per i volumi preziosi, raccontati da Di Maio in Quarant’anni di libri perduti e ritrovati, edito dalla sua Dante & Descartes (pagine 240, euro 18) che si presenta alle 18 al Palazzo dello Spagnolo in via Vergini in occasione in occasione del quarantennale dall’apertura della libreria.
Non ci sono solo i racconti del libraio editore, le avventure dei libri in formato piccolissimo, la passione per i volumi rari ed esauriti, le vittorie e le sconfitte, la soddisfazione di aver pubblicato per primo in Italia il premio Nobel Louise Glück, le delusioni di aver investito su titoli che non hanno sfondato come previsto, ci sono anche fotografie, disegni e decine di testimonianze di amici, colleghi, scrittori, giornalisti.
Per Erri De Luca il mestiere di libraio è mestiere di un virtuoso, e Raimondo è «uomo di grande virtuosismo, ed è anche un equilibrista e un facchino di cultura rigettata».
Di Maio è un rabdomante, per Viola Ardone: «Più di una persona che conosco mi ha detto spesso: passo da Raimondo a prendere dei libri. La prima volta ho commesso l’ingenuità di chiedere: quali? Non lo sapevano: andare da Raimondo significa accogliere il consiglio dato con amore, con la precisa serietà di chi conosce l’animo umano, lo spirito del tempo, i gusti personali e la tasca di ciascuno». Titti Marrone ricorda con orgoglio che «quando Raimondo era uno scugniziello ha avuto come maestra mia madre Dora, e già basta questo a farmelo sentire uno di famiglia». Antonella Cilento sottolinea che una libreria con quarant’anni di vita diventa, per meriti sul campo, «una boa nel mare napoletano, un ancoraggio, una stazione di sosta, una certezza». Secondo Goffredo Fofi la Dante & Descartes è «una libreria come si deve», ossia «un luogo d’incontro, di scambio di informazioni e di pareri e di suggerimenti». Antonella Ossorio esibisce il suo primato. Un giorno, a lei che si trascinò in libreria in forma fisica non ottima, Di Maio regalò uno sgabello pieghevole. «Soste comode garantite durante il tragitto di ritorno, mi disse». Roberto Saviano ricorda che la prima presentazione di Gomorra, primavera del 2006, fu alla Dante & Descartes, «poche persone venute ad ascoltare un ragazzo poco più che ventenne. Di Raimondo mi colpirono quel senso di amicizia, empatia e comprensione». Alla fine Di Mario svela anche il mistero del nome della libreria. «Non è un nome di battaglia, ma battagliero sì. Fu scelto perché univa la letteratura alla filosofia; ricordava la condanna all’esilio di Dante e la solitudine nella “terra degli orsi” di Descartes. In più mi piaceva l’allitterazione “d” e “d”. Infine, nel 1984 avevo la migliore età e il coraggio per sostenere l’ardita coppia».