Vaccini, rischio scorte: la corsa delle Regioni contro l’emergenza

Vaccini, rischio scorte: la corsa delle Regioni contro l emergenza
​Vaccini, rischio scorte: la corsa delle Regioni contro l’emergenza
di Francesco Malfetano
Lunedì 9 Settembre 2019, 00:21 - Ultimo agg. 13:11
4 Minuti di Lettura

Sta per concludersi appena la prima settimana di settembre eppure è già scattata la corsa al vaccino antinfluenzale. Non per i pazienti però, per loro è ancora presto, ma per le Regioni che dopo l’emergenza di fine 2018 hanno scelto di correre ai ripari. In vista della stagione invernale e del tradizionale arrivo dei nuovi ceppi influenzali, insieme alle Asl e su invito preciso del Ministero della Salute, i diversi Enti territoriali italiani hanno deciso di aumentare il quantitativo di tetravalente da immagazzinare nei frigoriferi degli studi dei medici di base come negli ambulatori delle Asl. Vale a dire del vaccino più completo tra quelli disponibili, il più richiesto dal circa 15% della popolazione italiana che abitualmente sceglie di vaccinarsi.

LEGGI ANCHE --> Scuola, caos vaccini: il 10% degli alunni non sarà in regola
 



L’anno scorso infatti, a causa di ordini troppo prudenti sulla base delle percentuali della stagione precedente (per evitare dosi avanzate e lo spreco di risorse economiche), non erano state commissionate dosi a sufficienza alle aziende farmaceutiche. Così in molte regioni italiane - su tutte Campania, Sardegna ed Emilia Romagna - prima c’è stato un razionamento (fino a novembre) e poi il completo esaurimento delle dosi ben prima della conclusione della campagna vaccinale. Medici di famiglia e personale sanitario degli ospedali quindi, sono stati costretti a rimandare a casa senza vaccino moltissime persone, spesso anche anziani e bambini. 

In particolare però quella del 2018, è stata una stagione sui generis per la campagna antinfluenzale. Si è registrato infatti un vero e proprio boom di adesioni. Solo nella regione Lazio ad esempio i soggetti vaccinati sono passati dagli 891.482 del 2017 ai 922.693 dello scorso anno, facendo segnare un incremento di 31.211 unità (più 3,5%). Una maggiore copertura frutto delle campagne di sensibilizzazione e, in piccola parte, di una minore incidenza dell’esitazione vaccinale, vale a dire dello scetticismo nei confronti dei vaccini. Non solo un rifiuto assoluto, ma anche indecisione, incertezza e dubbi che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) rappresenta una delle dieci maggiori sfide per la salute del 2019. Una delle più grandi minacce che deve essere affrontata perché «rischia di invertire i progressi compiuti nella lotta contro le malattie prevenibili con il vaccino». 

Proprio per questo, visti i trend e le problematiche, le Regioni italiane hanno quindi deciso di intervenire in maniera radicale aumentando le quantità di dosi ordinate. Un incremento accreditato non solo dalle dichiarazioni degli Enti («circa il 2-3% in più» sostiene l’Assessore alla Sanità e l’Integrazione Sociosanitaria della Regione Lazio, Alessio D’Amato) ma anche dalle aziende farmaceutiche interessate. Sanofi Pasteur ad esempio, divisione vaccini dell’industria francese, conferma i maggiori quantitativi in produzione per conto degli Enti italiani. Un incremento che d’altro canto comporta anche un grosso rischio di sperperare denaro pubblico dato che, come spiega Pier Luigi Lopalco, epidemiologo di fama internazionale: «È impossibile fare una previsione seria di quella che sarà l’impatto influenzale nella prossima stagione. Le variabili in gioco sono assolutamente imprevedibili - spiega - L’unica cosa certa che sappiamo è che arriverà e come ogni anno colpirà moltissime persone». 

Tuttavia è lo stesso Lopalco a lanciare un altro allarme che riguarda la Penisola: «Non bisogna lavorare solamente su quantitativi e distribuzione - continua - il vero problema è incrementare la copertura vaccinale dei medici e del personale sanitario». Per gli operatori delle nostre strutture sanitarie infatti, la copertura è di appena il 15% del totale. Un numero «ridicolo» che ci rende fanalino di coda in Europa in questa particolare classifica. Un primato non invidiabile determinato da una «scarsa sensibilità» e soprattutto dalla tendenza a «sottovalutare il rischio di trasmettere l’influenza al proprio paziente». Per questo, «sarebbe il caso di incentivare il ricorso all’obbligo» per medici, infermieri e ostetriche già in vigore in Emilia Romagna, Marche e Puglia.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA