— Gareth Thomas (@gareththomas14) 18 novembre 2018
LA STORIA
L'aveva detto, l'arbitro gallese gay Nigel Owens, nel presentare l'anno scorso la biografia in cui racconta il proprio faticoso e soprattutto senza precedenti outing nel mondo del machismo per eccellenza, il rugby. «Spero aveva spiegato il direttore internazionale di gara, 38 anni che il mio esempio convinca altre persone a liberarsi dell'angoscia che ingiustamente le opprime e a lottare contro le discriminazioni sessuali».
Detto e fatto, ma va' a pensare che il primo (e finora unico nel mondo ovale) ad accogliere l'invito sarebbe stato proprio Alfie, ovvero Gareth Thomas, 35 anni, il rugbysta gallese più conosciuto nel decennio a cavallo dei millenni, il gigantesco trequarti (1,92 per 103 kg) che fra l'altro gli azzurri conoscono bene, benissimo: ogni volta che incrociava l'Italia non poteva fare a meno di segnare una meta: a Treviso, nella Caporetto del 1999, furono persino quattro, mentre quella rifilata a Bergamasco & Co. nel 2004 gli guadagnò il titolo di miglior marcatore di sempre del Galles.
«Sono omosessuale, non posso più tenere dentro di me questo segreto, ho anche pensato al suicidio» ha detto singhiozzando a Scott Johnson, suo allenatore dei Cardiff Blues, confidandogli allo stesso tempo la rottura defitiva del matrimonio con «la donna che amavo con tutto il cuore», la bionda Jemma, stella della sua giovinezza nelle verdi valli di Bridgend, portata all'altare nel 2002. Gareth Thomas in lacrime per le sua omosessualità in una panca degli spogliatoi fa lo stesso effetto di quei placcaggi che ti tirano giù quando sprinti in meta pensando di aver seminato tutti gli avversari: granitico, statuario, pelata da marine e un ghigno da duro che più duro non si può, con quel vezzo quasi tribale di levarsi durante i match il “ponte” che aveva rimpiazzato i quattro denti incisivi superiori. Insomma, a pensarci, ma solo adesso, si può ricordare un personaggio di Querelle de Brest di Fassbinder.
Per il Galles, la nazione più neozelandese, diciamo ovale, d'Europa, “Alfie” ha segnato 40 mete e ha meritato 100 caps (il primo e finora l'unico con tante convocazioni) e ne è stato anche il capitano nel trionfale Grand Slam del 2005, anno in cui ha guidato pure i Lions, la supernazionale britannica in tour a casa degli All Blacks.
E non solo nel Principato si restò angosciati per alcuni giorni nel 2006 quando la rottura di un'arteria del collo (avvenuta non durante una fase di gioco) lo spinse fra la vita e morte. Carriera finita? Macché, tre stagioni nell'infernale campionato francese a Tolosa e quindi il rientro in patria. Davanti a quel disperato gigante dagli occhi umidi, l'allenatore Johnson ha chiamato i suoi amici Stephen Jones e Martin Williams, anche loro nazionali. «Avevo una gran paura mentre li aspettavo - ha detto il colosso - ma poi se ne usciti con un un sorriso da veri amici: “Perché non ce l'avevi detto prima?”».
Già, ma fino a ieri un gay dichiarato fra i rugbysti professionisti non c'era ancora stato, al più fece notizia dodici anni fa il londinese King Cross Steelers, club per gay e bisessuali dilettanti fra i quali anche un parlamentare Tory.
(dal Messaggero del 20 dicembre 2009)