«Licenziata in tronco dopo 3 giorni, ma ho imparato l'importanza della salute mentale: ho detto no a un ambiente di lavoro tossico»

La reazione iniziale è stata la disperazione, la sensazione di aver fallito, le scuse in lacrime al telefono con la mamma, ma poi Calli ha razionalizzato l'accaduto

«Licenziata in tronco dopo 3 giorni, ma ho imparato l'importanza della salute mentale: ho detto no a un ambiente di lavoro tossico»
«Licenziata in tronco dopo 3 giorni, ma ho imparato l'importanza della salute mentale: ho detto no a un ambiente di lavoro tossico»
di Hylia Rossi
Giovedì 9 Maggio 2024, 18:00
5 Minuti di Lettura

Lavoro e stress non devono necessariamente essere collegati e sembra che i giovani, in particolare la gen z, abbiano deciso di combattere con forza questo binomio. Sempre più spesso, infatti, si parla di equilibrio tra lavoro e vita privata e di cambiare le priorità: la salute mentale prima dello stipendio, orari flessibili anziché fine settimana e nottate in ufficio. 

Ne è un esempio Calli Nguyen, una ragazza di 24 anni che è stata licenziata in tronco pochi giorni dopo l'assunzione per aver preso... una pausa. Già dall'inizio, ammette, c'erano stati dei segnali di allarme riguardo il suo capo, ma aveva deciso di dargli il beneficio del dubbio perché «volevo tenermi il lavoro».

Con questa brutta esperienza alle spalle, Calli ha deciso di condividere quei segnali di allarme e di mettere in guardia chiunque dovesse trovarsi in situazioni simili, confermando ancora una volta l'importanza della propria salute mentale rispetto al resto: «Il mio obiettivo primario è essere felice». 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Un ambiente di lavoro tossico

«Ho avuto diversi lavori - racconta Calli al BusinessInsider -, ma quello di direttrice del marketing digitale è stata la mia prima posizione a tempo pieno.

Forse per questo inizialmente ho cercato di razionalizzare, ho pensato che forse ero nel mezzo di una curva di apprendimento. O che, magari, avevo semplicemente paura. Eppure, il terzo giorno di lavoro, quando ho lasciato la scrivania per una breve pausa per la mia salute mentale, sono stata licenziata in tronco. A quel punto, ho capito che c'erano dei segnali d'allarme e che li avevo ignorati».

Oltre a varie recensioni negative sul web da parte di ex clienti e impiegati (uno dei quali faceva presente che due dipendenti avevano lasciato il lavoro dopo due settimane perché maltrattati), Calli ha acconsentito a ricoprire una posizione da dirigente anziché quella concordata da coordinatore, ma con la stessa paga oraria. All'inizio la 24enne si è sentita un fallimento, ma poi ha capito che si era trattato di un colpo di fortuna: «Ho imparato che non tutte le opportunità sono positive e da cogliere e che proteggere la mia salute mentale e trovare qualcuno che consideri il mio valore è più importante di guadagnare soldi».

I campanelli d'allarme

Per quanto riguarda i campanelli d'allarme, Calli ne elenca diversi. Uno di questi è il fatto che il capo rifiutasse costantemente i suoi consigli e input: «Aveva un'idea tutta sua di come il suo social media marketing dovesse funzionare, ovvero mostrare foto di stock di donne attraenti con font ormai fuori moda. Le ho mostrato i dati che dimostravano un basso rendimento e le ho detto che sapevo come rendere più all'avanguardia la sua presenza online per acquisire più clienti, ma lei si è rifiutata di considerare qualsiasi cosa io le dicessi».

Un altro problema era relativo al rendimento: il capo voleva che Calli producesse molto di più rispetto a ciò che le veniva richiesto. «Le ho presentato tutto ciò che aveva chiesto - spiega - e nonostante sembrasse soddisfatta dei post social e delle offerte che avevo trovato, voleva altro da me», dicendole che avrebbe dovuto ricercare i prodotti usati dai competitor anche se non erano parte del progetto a lei assegnato. 

A quel punto, mentre ascoltava la lunga lista di ciò che avrebbe dovuto fare e non aveva fatto, Calli si è sentita sopraffatta e si è alzata, dicendo di aver bisogno di una pausa. «Mi sono incamminata verso la porta e lei ha provato a fermarmi. Io non le ho dato ascolto. Avevo già deciso che non avrei lasciato che le persone mi mancassero di rispetto al lavoro. Le ho detto: mi perdoni, glielo chiedo con rispetto, ho bisogno di uscire e prendere una boccata d'aria. Tornerò tra pochi minuti. Così mi ha licenziata, dicendomi che non avrei funzionato con lei».

La realizzazione

La reazione iniziale è stata la disperazione, la sensazione di aver fallito, le scuse in lacrime al telefono con la mamma. Ho passato un mese nel letto a lavorare da remoto per un'altra azienda, dice Calli. Eppure, col tempo è arrivata la lucidità: «Sicuramente alcuni gen z sono pigri e inafidabili, ma vogliamo ciò che vogliono tutti, vale a dire dei lavori che ci piacciano, dei capi che riconoscano il nostro lavoro, un ambiente sano e imparare per poter fare il massimo. Le vecchie generazioni sopportavano di lavorare in ambienti tossici, mentre noi puntiamo i piedi e non ci accontentiamo. Sono contenta di ricevere critiche costruttive, ma il feedback non deve superare la linea e diventare irrispettoso e umiliante».

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