Giustizia, la volta buona della riforma? Carriere e Csm, il governo apre al confronto con le toghe

Sul tavolo anche l'obbligo di azione penale. Tutte le novità

Giustizia, la volta buona della riforma? Carriere e Csm, il governo apre al confronto con le toghe
Giustizia, la volta buona della riforma? Carriere e Csm, il governo apre al confronto con le toghe
di Francesco Malfetano
Domenica 5 Maggio 2024, 01:16 - Ultimo agg. 17:58
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A Bettino Craxi piaceva, eccome. I Radicali l’hanno sottoposta agli italiani con un referendum. Per Silvio Berlusconi era l’eredità che avrebbe voluto lasciare al Paese. E pure la Bicamerale di Massimo D’Alema l’aveva tra i suoi punti qualificanti. Quella della riforma della giustizia, e in particolare della separazione delle carriere dei pm, è una storia lunga più di trent’anni. Una strada lastricata dalle promesse dei governi che - dal riordino del processo penale in Italia del 1989 - si è interrotta ben prima di riuscire a dividere per sempre il magistrato che accusa da quello che giudica.

Un lungo e affannoso viaggio intrapreso anche dal governo di Giorgia Meloni che, forte di un accordo politico in maggioranza, di un ex giudice come Carlo Nordio a via XX Settembre e di una parte dell’opposizione più o meno sulla stessa linea d’onda (Azione e Iv), sembra considerare la riforma dell’ordinamento giudiziario realmente realizzabile. Tenendo fede al programma elettorale di Forza Italia e soprattutto all’ambizione azzurra di farne bandiera verso il voto europeo, entro maggio infatti giurano che il testo approderà in Consiglio dei ministri sotto forma di Ddl costituzionale. E lo farà - ma è ancora da scrivere - affiancando all’istituzione di due Csm quella di un’Alta Corte che, con membri sorteggiati, si occuperà di giudicare sia i magistrati giudicanti che requirenti.

Non si esclude neppure che alla fine possa essere portata avanti anche una riflessione sull'esercizio dell'azione penale e della sua discrezionalità con l’obiettivo di riformare l'articolo 112 della Costituzione - in cui è prevista l'obbligatorietà - e attuare pienamente il sistema accusatorio.

L’equilibrio è però difficile da centrare. E Nordio resta alla ricerca della formula più adatta per provare ad aggirare le sabbie mobili in cui in passato si è trasformato il dibattito sulle porte girevoli tra giudici e pm. D’altro canto è stato proprio l’attuale guardasigilli, nel libro scritto con Giuliano Pisapia (“In attesa di giustizia”) nel 2010, a dettare la necessità di «dialogare in punta di fioretto» piuttosto che «entrare con la clava nella cristalleria». Un approccio che, almeno in parte, parrebbe funzionare a leggere l’altalena delle dichiarazioni del presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia. Accanto ai più tradizionali strali («È la riforma di chi ha in antipatia un singolo pm»), venerdì il magistrato ha auspicato «un confronto con il ministro Nordio sulla riforma della giustizia, almeno prima che diventi legge, per un contributo tecnico. Scelga lui se prima o dopo il Cdm». Una piccola apertura che, sulla carta, sa di “volta buona” ma che nei fatti potrebbe preannunciare l’ennesimo scontro. Nel governo il dialogo è considerato benefico, a patto che non si trasformi nel tentativo di impallinare la riforma. Per questo, complice la momentanea assenza da Roma di Nordio per presiedere il G7 a Venezia, la strategia è quella di non correre troppo. Anzi. Si guarda con interesse alla prossima settimana: dal 10 al 12 maggio l'Associazione nazionale magistrati si riunirà in congresso, se gli attacchi arriveranno con forza «sarà il segno che una collaborazione non è possibile» spiega una fonte di vicina al dossier.

I DUBBI

Presto quindi per cantare vittoria. A spiegarlo è ad esempio Gian Domenico Caiazza, capolista alle Europee per la lista Stati Uniti d’Europa ed ex presidente dell’Unione camere penali. «L'annuncio del varo della riforma costituzionale della separazione delle carriere sarà, ad occhio e croce, il quindicesimo dall'inizio della legislatura» ha sottolineato. «Due sole domande. La prima: come mai non c'è ancora un testo scritto?» Seconda domanda: «si tratta di una riforma costituzionale», come il premierato, «quando pensate di farla? Prima, dopo, contemporaneamente?». Dubbi a cui si accoda una grossa fetta dell’opposizione “dialogante” con il governo sul punto. «La riforma della giustizia non si farà mai con questo governo - ha tuonato il leader di Iv Matteo Renzi - Il ministro Nordio è una persona perbene ma dopo due anni continua a fare chiacchiericcio, non abbiamo visto niente». E di «scopo evidentemente dilatorio» parla pure il deputato di Azione Enrico Costa, sottolineando come da un anno e mezzo sia «pendente» alla Camera un testo base su cui sono state svolte «ben 35 audizioni di esperti, 14 sedute», e rimarcando come ora si «dovrà ripartire daccapo»: «È un espediente per rallentare e cedere il passo al premierato». Certo, ora sembra lontanissimo quel «resistere, resistere, resistere, come sulla linea del Piave» scandito nel 2022 all’apertura dell’anno giudiziario dal procuratore generale Francesco Saverio Borrelli, capo del pool di Mani Pulite. Ma il sospetto che anche questo tentativo possa finire immolato sull’altare dell’opportunità politica è legato alla storia stessa della riforma. Chissà se Berlusconi che nel 2000 boicottò il referendum dei Radicali (al grido «Resta a casa per mandarli a casa») abbia mai avuto modo di pentirsi di averlo fatto con l’obiettivo di realizzarla una volta al governo.

Tralasciando le lunghe discussioni post Tangentopoli, da lì in poi i buchi nell’acqua sono diventati una lunga sequenza. La “riforma Castelli” del 2002 inizia l’iter parlamentare anche per la separazione delle carriere, ma dopo lo stop del presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che la rinvia alle Camere a causa alcuni profili di incostituzionalità, esce da Montecitorio nel 2004 senza centrare l’obiettivo. Tre anni più tardi è la volta del governo Prodi e del ministro Clemente Mastella che riesce però solo ad inserire un limite di non più di quattro passaggi in carriera (e solo dopo aver svolto le stesse funzioni per 5 anni). Poi ancora la raccolta firme finita nel vuoto dei radicali nel 2013, la proposta di un ddl costituzionale dell’Unione camere penali italiane paralizzatosi tra il 2017 e il 2020. Fino al referendum anti-porte girevoli del 2022 lanciato da Lega e Radicali finito seppellito sotto al mancato raggiungimento del quorum. Anche per questo però, oggi è presto. C’è un accordo, è vero, ma manca un testo capace di reggere quattro letture in Parlamento ed un eventuale referendum.

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