Napoli: «Io imprenditrice picchiata e molestata, ecco perché denuncio»

Ieri prima udienza a carico di un presunto bruto: ipotesi di violenza sessuale e lesioni contro la donna

L'avvocato Esther Lettieri, di spalle Alessandra Novello, parte civile nel processo per violenza e lesioni
L'avvocato Esther Lettieri, di spalle Alessandra Novello, parte civile nel processo per violenza e lesioni
Leandro Del Gaudiodi Leandro Del Gaudio
Mercoledì 1 Maggio 2024, 07:59 - Ultimo agg. 2 Maggio, 07:43
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«Con quel gesto mi ha voluto umiliare: mi ha messo le mani addosso nel pieno di una discussione nata per motivi banali. Così, davanti a tutti, mi ha palpeggiata, poi - quando gli ho detto che mi faceva vomitare, che poteva essere mio padre - mi ha dato una testa all’altezza del viso. Qui sul naso, provocandomi dei danni indelebili». Aula 413, palazzo di giustizia di Napoli, eccola Alessandra Novello, la giovane imprenditrice vittima di una brutta aggressione consumata all’interno del ristorante di famiglia.

Un episodio avvenuto due anni fa, all’interno di un locale di via San Sebastiano, che ha costretto un intero nucleo familiare a una scelta drastica: spostare la propria attività a Chiaia, per non non subire più la pressione del bruto. Difesa dalla penalista Esther Lettieri, Alessandra racconta la sua determinazione nel costituirsi parte civile (altra parte offesa è la zia di Alessandra, difesa dall’avvocato Mauro Valentino), in un processo a carico del 51enne L.L. (per lui l’accusa di lesioni gravi e violenza sessuale: è difeso dall’avvocato Antonio Del Vecchio).

Alessandra, cosa la spinge a presentarsi in aula e costituirsi parte civile?

«La convinzione che non ci sia nulla che possa impedire di difendere la propria dignità.

Parteciperò ad ogni fase di questo processo, dove - giusto ribadirlo - l’imputato avrà modo di sostenere la propria versione dei fatti, ma non retrocedo di un passo rispetto a un principio: chi crede di aver subìto un atto violento, degradante, non deve rinunciare a far sentire la propria voce, a raccontare la propria esperienza. Non deve cedere alla tentazione di isolarsi, magari per finire nell’oblio».

A cosa fa riferimento?

«Mai avrei immaginato di trovarmi in una situazione del genere. Il trenta aprile nel Tribunale di Napoli, assieme al mio legale di fiducia e a mia madre, per far valere le mie ragioni.

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Eppure, le assicuro che quando una donna subisce molestie o violenza ha la tendenza a ripiegare su se stessa. Ma si deve superare questo momento. Perché solo chi agisce con brutalità deve provare vergogna e deve avvertire il peso dei sensi di colpa. Chi subisce quello che è accaduto a me, deve raccontare tutto con onestà e spirito civico, potendo camminare a testa alta».

Cosa le è accaduto?

«L’ho spiegato agli inquirenti, ci sono i referti medici e le testimonianze».

Questo è il processo ed è giusto che il suo racconto resti una versione di parte, che attende la ricostruzione dell’imputato. Ci dica cosa accadde nel suo ristorante dal suo punto di vista.

«Era il 25 febbraio del 2022, all’interno del ristorante di famiglia. Sentii un uomo sulla cinquantina discutere con veemenza con mia zia, a proposito della collocazione delle pietanze in alcune vaschette. Provai ad intervenire, ma non mi diede il tempo di dire granché. Provai a calmarlo, ma non ci fu nulla da fare. Il resto è quanto sintetizzato nel capo di imputazione».

Quindi?

«Mi sferrò una testata all’altezza del naso. Pensi che uno dei nostri dipendenti in questi due anni mi ha ripetuto più volte che non riuscirà mai dimenticare il rumore sordo della testata che mi raggiungeva al naso».

Agli atti si parla anche di violenza sessuale. Possibile: lì, davanti a tutti?

«È stato un altro gesto che non dimenticherò mai. Prima di essere colpita dalla testata, mi ha messo la mano nelle parti intime, io sono scattata e ho urlato che doveva vergognarmi, che sentivo ribrezzo per quel gesto. Poi il colpo al naso, mentre brandiva una bottigla di birra che per fortuna gli hanno strappato di mano».

Poi cosa ricorda?

«Il sangue, i soccorsi. La difficoltà di respirare. La paura che qualcuno della mia famiglia potesse essere colpito. Il ristorante vuoto. Le urla della donna che accompagnava l’aggressore - credo che fosse la moglie - che da un lato mi chiedeva scusa per la condotta dell’uomo, dall’altro insisteva con accuse insensate».

Perché a suo giudizio è importante affidarsi a un processo penale?

«Per abbattere l’impunità. Chi agisce in un certo modo, per una banalissima discussione, può reiterare la condotta. Può farlo di nuovo, aggredendo altre persone inermi e incapaci di sostenere un simile carico di aggressività. Mi auguro che questa esperienza possa rappresentare un deterrente forte per impedire altri gesti simili, ma anche un esempio per chi subisce in silenzio. Bisogna affidarsi alla giustizia, credere nella possibilità di dimostrare la coerenza delle proprie conclusioni e opporsi a ogni forma di violenza. Mi creda: è doloroso, ma costituirsi parte civile e uscire allo scoperto è anche doveroso per tutelare i più deboli».

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