Chi sono i Neet? I giovani che non studiano e non lavorano sono sempre di più

«Secondo l'Istat, nel 2023 il 18% degli individui di età compresa tra i 18 ed i 35 anni si può identificare come Neet»

Giovani
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di Clara Lacorte
Sabato 30 Marzo 2024, 18:01 - Ultimo agg. 31 Marzo, 09:59
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Il termine «Neet», di origine anglosassone, ha il significato di «Neither in Employment nor in Education and Training» e si riferisce ai giovani con un'età compresa tra i 16 ed i 18 anni, persi dal passaggio tra scuole e mondo del lavoro. Ad oggi il significato della parola Neet è parzialmente cambiato ma, soprattutto, sono cambiate le fasce d'età che fanno parte di questo grande gruppo.

Come infatti ci ha spiegato Francesco Marrazzo, sociologo e docente del corso di laurea magistrale in Comunicazione pubblica, sociale e politica presso l'Università Federico II di Napoli, «alla luce di una serie di fattori relativi al tardato accesso al mondo del lavoro, alla formazione di nuclei familiari autonomi, alla nascita del primo figlio, includono nella categoria dei giovani (e quindi dei Neet) soggetti fino al compimento del trentacinquesimo anno d'età. In particolare, secondo quanto riportato dall'Istat, nel 2023 il 18% degli individui si può identificare come Neet. Tale percentuale sale al 23,5% se si considera la sola fascia di persone con età compresa tra i 34 ed i 35 anni».

Dunque, se nel passato l'acronimo Neet stava ad indicare soprattutto uno svantaggio di tipo scolastico, oggi si configura attraverso tutti quei giovani che non lavorano, non studiano e non si impegnano per trovare un lavoro.

Come tutti i fenomeni che interessano le nuove generazioni non possono però essere considerate uguali in tutta l'Italia, ci sono infatti delle importanti differenze in base all'età, la condizione familiare e la regione dalla quale si proviene. La percentuale di giovani classificabili come Neet sale soprattutto nelle regioni del Sud, dove la difficoltà di trovare un lavoro aumenta notevolmente rispetto alle zone del Nord d'Italia. Ma ad essere colpite sono in particolar modo le donne, soprattutto coloro che hanno un età compresa tra i 25 ed i 29 anni d'età. Parliamo, infatti, del 20,5% di ragazze senza occupazione rispetto al 17,7% di ragazzi.

Tra le categorie più colpite troviamo innanzitutto coloro che hanno perso fiducia verse sé stessi ed il mondo del lavoro a causa della pandemia da Covid-19. Si tratta di tutti quei ragazzi che non hanno saputo reagire una volta che si è tornati ad una parvenza di normalità ed hanno continuato, probabilmente senza rendersene conto, a temporeggiare e non concretizzare i loro obiettivi. Ma non solo. Ad essere interessati dal fenomeno Neet anche molti ragazzi soggetti alla dispersione scolastica e tutti coloro i quali vivono delle condizioni familiari di svantaggio. Tale gap si ripercuote poi sulla società e si traduce, il più delle volte, in serie difficoltà nel trovare un'occupazione adeguata. Purtroppo però essere laureati o aver studiato nelle migliori università non basta, perché ad essere inseriti nei Neet ci sono anche coloro che sono troppo qualificati. Si tratta di giovani tra i 20 ed i 29 anni che hanno titoli importanti, laureati più volte, ma che non trovano una corrispondenza tra i loro studi ed i lavori offerti dal mercato. Ciò crea, come ovvio che sia, scompensi psicologici e grande frustrazione.

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Quando si parla di Neet e, di conseguenza, di disoccupazione giovanile viene quasi automatico a molti pensare che i social media e la grande esposizione mediatica che le nostre generazioni vivono possano essere la causa di un indebolimento delle loro menti. I social media «non hanno un influenza negativa perché ovviamente contano le attività che si svolgono online materialmente. Molti studi hanno evidenziato, durante il periodo di Covid, un aumento degli accessi ad internet tra la giovane popolazione con l'obiettivo, molte volte, di seguire corsi online di formazione, scolastici o universitari e di utilizzare internet anche per lavoro. Persino sulla lettura di giornali e riviste online si osserva la presenza di più giovani, rispetto alla popolazione più anziana. Dunque, in sostanza il tempo speso online non è sempre motivo di distrazione» spiega il professore Francesco Marrazzo.

Contrastare l'emergenza lavorativa, sociale e culturale che interessa i nostri giovani è di fondamentale importanza. La Commissione europea ha diverse volte concertato i propri sforzi per aiutare le nuove generazioni, ma spesso non è bastato. Ciò che spesso si sottovaluta sono le ripercussioni psicologiche che determinate condizioni possono portare. La continua esposizione, attraverso i social media, della propria vita e di quella degli altri coetanei crea un circolo vizioso di comparazioni, competizioni e pressioni le quali si traducono poi in difficoltà nel gestire le proprie scelte di vita.

«L'università potrebbe fare molto di più di quanto di pensi. Se ogni ateneo e dipartimento, soprattutto nel Mezzogiorno, fosse in grado di affiancare oltre alla didattica tradizionale anche percorsi formativi specifici, sicuramente i Neet ne trarrebbero giovamento. Sia in termini di una minore esclusione sociale, sia con maggiori possibilità di entrare nel mondo del lavoro» conclude il professore Francesco Marrazzo.

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