Ciccio Merolla festeggia in piazza il suo primo disco d'oro: «Grazie Napoli, sei una malattia»

Concerto gratuito in piazza del Gesù

Ciccio Merolla
Ciccio Merolla
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Venerdì 10 Maggio 2024, 08:00
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Se concerto di ringraziamento doveva essere, per Ciccio Merolla non poteva essere altrove che a piazza del Gesù: «”Malatia” è diventata disco d’oro, cosa potevo fare di meglio che tornare dove tutto è iniziato per restituire al pubblico l’affetto che ho sentito intorno a questa mia canzone?».

Raccontiamolo questo inizio, Ciccio. 
«Avevo 6-7 anni, ero uno scugnizziello che, ascoltando i dischi di amici un po’ più grandicelli, si era innamorato di Bob Marley e di Peter Tosh.

Suonavo il reggae sui bonghetti, sul mio primo djembè». 

Tamburi come giocattoli? 
«Tamburi come passione, come futuro: allora sognavo di usarli per cantare, di trasformarli nel mio mestiere. Ci sono riuscito, oggi che ho 55 anni, numero che nella Smorfia indica la musica, lo posso anche dire».

È stato facile realizzare il tuo sogno? 
«Sì e no. Sì perché ho incontrato artisti che hanno avuto subito fiducia in me: Antonio Sorrentino, Enzo Gragnaniello, James Senese. Mi hanno portato con loro sul palco e in tv regalandomi la migliore scuola possibile: li osservavo comporre, arrangiare, suonare. Non perché ero un cantante che voleva suonare le percussioni, ero un percussionista che voleva cantare. Non proprio una figura tradizionale, anche se, per fortuna, a Napoli c’era stato l’immenso Gegè di Giacomo, batterista-fantasista, e molto di più: siamo tutti suoi figli, anzi nipoti».

A chi devi di più? 
«A Gragnaniello, che appena ci siamo conosciuti mi ha lasciato campo libero e massima fiducia: bastava che portassi uno strumento a casa sua perchè lui scrivesse un brano per utilizzarlo. A Senese: fu lui, dopo un concerto insieme, a dirmi: “Guaglio” hai un seguito tuo, dovresti provare da solista».

Qui comincia l’avventura di Cicciotto che suona ‘o bongo e canta le sue canzoni. 
«Sì, il primo disco era strumentale, con un solo brano in cui mi sperimentai rapper. Mentre facevo il sessionman, se così si può dire, avevo messo in piedi i V7 con Lucariello e succedeva che dopo un live con Enzo o con James, magari in un teatro o in una piazza, mi rintanassi nei club jazz e underground».

Poi sono arrivati i brani in cui percuotevi modelle desnude, i duetti con pornostar, l’omaggio al sacro cantore sufi Nusrat Fateh Ali Khan di «Mpasta», «Femmena boss», «Fratammè». I film con i Manetti bros e Carlo Luglio. E, finalmente, il successo di «Malatia». Te lo sei finalmente spiegato? 
«No, non ancora, forse non ci riuscirò mai. L’ho registrata senza scommetterci su un soldo, per puro piacere. Forse ha vinto quello, con la semplicità, poi il brano è diventato una colonna sonora della cavalcata verso il terzo scudetto del Napoli e...».

Tempi che sembrano ormai lontani. 
«Ma indimenticabili. Il concerto di stasera serve per ringraziare dell’amore ricevuto ancor prima del disco d’oro».

Chi altro devi ringraziare? 
«Lucariello, che ha scritto l’adattamento del brano con me. Martina Camargo la cui “Guataquì (Berroche”) ha dato l’avvio a tutto». 

Intanto c’è un brano nuovo. 
«Sì, e speriamo che vada bene, dopo “Malatia” le aspettative sono alte, forse troppo. Si intitola “Buonasera” e, finalmente, è un duetto con Clementino».

Che concerto dobbiamo aspettarci? 
«Suonerò i miei pezzi e tre omaggi: a Pino Daniele, a Renato Carosone e a Tito Puente, la versione napoletana di “Ran kan kan”». 

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